Le istituzioni internazionali che si occupano della disinfezione con gli UV di acqua, aria e superfici, hanno da tempo associato ad ogni microrganismo noto, il corrispondente valore di energia emesso da radiazioni UV-C, con valore di cresta alla lunghezza d’onda di 253,7 nanometri.
Questo parametro è indicato come D10 ed è espresso comunemente in mJ/cm2. Esso determina la sopravvivenza della colonia di microrganismi, esposta ai raggi UV-C, a livelli non superiori al 10% degli individui. Per l’Escherichia Coli, in acqua, il D10 corrispondente è 5,4 (mJ/cm2).
Per ottenere una riduzione batterica superiore al 90%, il valore di energia UV da applicare si ricava moltiplicando il valore D10 per il numero di ulteriori “riduzioni” desiderate, come esemplificato nella tabella che segue.
La dose UV
La dose UV deriva dall’energia UV applicata, al microrganismo, per il tempo in cui esso vi rimane esposto. La tipologia della camera di reazione, aperta o chiusa, e la sua geometria, hanno un peso notevole per determinare l’efficacia di un sistema UV nei confronti di un altro.
Per compensare una “trasmittanza” dell’acqua inferiore al 100%, si deve introdurre un fattore di correzione.
Per la disinfezione dell’acqua, destinata ad uso potabile, si tende oggi ad applicare una dose UV non inferiore a 40 mJ/cm2. Per le acque reflue da scaricare in acqua superficiali ci si attesta ancora su valori massimi di 25-30 mJ/cm2, come Average Dose.
Negli ultimi tempi si è andata affermando, specialmente negli USA, la tendenza a verificare il processo di disinfezione con prove di collaudo a campo di tipo “biodosimetrico”. In queste circostanze la dose applicata è definita come RED (Reduction Equivalent Dose) ed il risultato, a parità di indice in mJ/cm2 comporta livelli di irradiazione che possono essere anche doppi rispetto a quelli sufficienti per determinare la tradizionale Dose Media (Average Dose).